Con una votazione all’unanimità, l’assemblea congressuale della Federazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della Funzione Pubblica della CIDA ha eletto oggi Giorgio Rembado alla carica di Presidente. In un’intervista, che pubblichiamo di seguito, le linee programmatiche e operative che la nuova presidenza intende seguire nella conduzione della Federazione.
Quali priorità di politica sindacale si pongono oggi per la Federazione?
C’è intanto la necessità di crescere in tutte le direzioni compatibili: e cioè dentro alle Associazioni già esistenti, come numero di iscritti, e dentro alla Federazione, come numero di Organizzazioni e di profili professionali rappresentati. Solo così potremo dare risposta alle sollecitazioni dei soci a contare di più a tutti i livelli, ad essere più visibili, a far sentire maggiormente la nostra voce, ad elaborare contributi ancora più significativi.
Ma condizione per la crescita è anche quella di rafforzare le diversità culturali e politico-sindacali della nostra offerta, perché sia in grado di rispondere sempre meglio ad una domanda di nuova rappresentanza.
Vi è poi un più generale problema di identità. Non mancano le sigle sindacali che rappresentino – o aspirino a rappresentare – la dirigenza: ed anche l’adesione associativa è in genere piuttosto elevata. Quel che non è facile trovare è la qualità della proposta politica. Troppi soggetti parlano con una voce sola, per carenza di elaborazione culturale o per timore di restare soli: ed il diffuso conformismo fa sì che tutti chiedano le stesse cose e che il conservatorismo delle posizioni finisca con il rafforzare l’autoreferenzialità delle Organizzazioni anziché la loro capacità di incidere verso l’esterno.
Noi, che la cultura della dirigenza la viviamo dall’interno, non vogliamo invece sottrarci al compito di affrontare le contraddizioni che fanno parte del nostro sistema delle relazioni sindacali e che lo hanno imbalsamato.
Prima fra tutte, quella tra la contrattazione e l’innovazione, in modo che la prima possa diventare un veicolo per la seconda, che anche le pubbliche amministrazioni possano dotarsi di strumenti moderni di gestione delle risorse umane, fondati sull’introduzione di incentivi, sul riconoscimento di competenze effettivamente utilizzate, sulla crescita delle capacità professionali attraverso la formazione e così via.
Connessa a questa è l’esigenza della riduzione e semplificazione dei livelli di contrattazione, che comprima i tempi morti e faccia concludere tempestivamente i contratti. E che i comitati di settore siano sempre più espressione dei veri soggetti datoriali, unici a conoscere i fabbisogni reali delle singole amministrazioni e non condizionati dalle esigenze di consenso politico che con la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico avremmo dovuto lasciarci alle spalle.
Sempre a noi (perché nessun altro – a cominciare dalle Amministrazioni pubbliche – se ne cura), spetta ancora conciliare gli interessi dei pubblici dipendenti con quelli del cittadino utente, che non trova spazi di rappresentanza né nel sindacato e neppure talvolta nei partiti che si alternano alla guida del governo.
Rispetto al triennio appena concluso, l’interlocutore politico è mutato: in che modo questo potrà influenzare le scelte della Federazione?
Nei rapporti con la politica, sappiamo di doverci misurare con una nuova maggioranza, senza quel vantaggio di posizione che deriva ad altri da un collaudato collateralismo: ci conforta però la consapevolezza che la nostra capacità di incidere dipenderà dalla forza delle idee di cui siamo portatori e dal consenso che sapremo guadagnare nelle categorie che rappresentiamo e nella pubblica opinione. Il valore aggiunto che siamo in grado di offrire è costituito dalla valorizzazione delle esperienze e dal contributo delle competenze, indispensabili per le riforme, che solo noi potremo mettere a fattor comune, a patto che prevalga quell’idea di sindacato professionale che da sempre è nostro patrimonio ideale.
Andrà potenziata, con interventi nella legge e sui contratti, l’autonomia della dirigenza, messa a dura prova a partire dalla separazione tra l’attribuzione dell’incarico e la verifica dei risultati dell’azione dirigenziale.
Quali sono le linee operative su cui la Federazione intende impegnarsi nei prossimi mesi?
Dovrà essere riproposta come centrale la questione dei ricercatori e la loro riconduzione allo status di dirigenti: anche in questo caso l’andamento ondulatorio della decisione politica ha fatto sì che venissero ricondotti al comparto con un totale disconoscimento della loro funzione.
Vi è il problema della introduzione della carriera dei docenti, da sempre compressi all’interno di un’unica e fittizia funzione, che non tiene conto né delle articolazioni funzionali di cui le istituzioni scolastiche si avvalgono per il loro funzionamento, né della necessità di introdurre uno sviluppo per merito, che permetta ai migliori di avere riconoscimenti anche economici sulla base delle competenze acquisite e delle qualità professionali verificate.
Per i quadri, infine, si pone il problema della contrattazione separata dai comparti di appartenenza, per una emersione che renda loro giustizia e li collochi al riparo dall’appiattimento rispetto al personale impiegatizio, misconoscendo il fondamentale ruolo che svolgono nella veste di collaboratori del dirigente.
Queste le priorità, per titoli, di un programma di attività denso e ambizioso, che potrà solo essere incrementato dal confronto quotidiano con i problemi reali. Le possibilità di successo dipenderanno sicuramente dalle capacità e dalle energie che la Federazione e le Associazioni alla stessa aderenti sapranno mettere in campo, ma in particolare saranno la conseguenza di un rinnovato spirito solidale e di una volontà consapevole di stare ed operare assieme, in quanto portatori di una stessa cultura politico-sindacale specifica.
Il Congresso, in vista della predisposizione della legge Finanziaria per il 2007, ha poi votato all’unanimità il seguente ordine del giorno:
Il Congresso CIDA-FP riunitosi a Roma il 26 e 27 settembre 2006 di fronte a notizie apparse sulla stampa e alle polemiche in corso sulla prossima finanziaria stigmatizza lo stato di confusione del dibattito in atto sulla finanziaria, ribadisce la necessità di riforme strutturali e rigorose, anche di razionalizzazione degli apparati pubblici, ponendo grande attenzione alla qualità degli interventi di riforma, usando il bisturi, anche a fondo, ma non l’accetta. Il Congresso ritiene:
a) inaccettabile che il costo delle mancate riforme venga messo a carico dei redditi conosciuti dei ceti medio-alti, come quelli delle categorie che rappresentiamo;
b)che un punto centrale per la razionalizzazione della spesa è l’autonomia finanziaria dei soggetti (centri) istituzionali che erogano i servizi. Dagli istituti scolastici alle ambasciate all’estero, il presupposto di ogni risanamento è l’unificazione del budget nelle mani dei dirigenti superando la frammentazione della spesa per capitoli di bilancio;
c)improponibile e da respingere un intervento per legge su questioni regolate dalla contrattazione.
E pertanto chiede al Governo sui problemi aperti e sulle nostre proposte un urgente incontro per l’apertura di un confronto insieme alle altre Confederazioni di dirigenti, quadri e alte professionalità.