Con una coincidenza di data senza
dubbio casuale, ma con effetti che oggettivamente si sommano, il Consiglio di
Stato ed il Tar dell’Aquila hanno pubblicato ieri 11 luglio due diverse
sentenze, che hanno per effetto di affondare il concorso a dirigente
scolastico,
rispettivamente in Lombardia ed in Abruzzo.

Cominciamo dal primo caso, per la
rilevanza dei numeri in gioco. Non si può non rimanere perplessi di fronte alla
motivazione principale, che finisce con l’assorbire tutti gli altri aspetti
della questione: non l’accertata violazione dell’anonimato, ma la semplice, “astratta”
(sic!), possibilità che questo accadesse è bastata a Palazzo Spada per azzerare
tutto. Come dire che non serve provare che un fatto illecito sia accaduto:
basta che non sia impossibile che accada.
E su questo filo argomentativo (che
sarà pure corretto quanto si vuole sul piano, appunto, “astratto”), si butta a
mare, dopo oltre un anno di delibazioni, perizie e rinvii, un intero concorso:
e, con esso, gli interessi di trecentocinquanta scuole, un terzo dell’intero
sistema di istruzione di una regione come la Lombardia.

Come nel gioco dell’oca, si torna
al punto di partenza: anzi, no. Si riparte dalla correzione degli scritti e,
prima ancora, dalla reimbustatura delle prove; un compito di segreteria, che la
sentenza affida, con qualche eccesso di puntiglio,
non disgiunto da una misura di svilimento per la funzione, a tre dirigenti del
Ministero, di cui almeno uno di prima fascia.

E’ del tutto ovvio che – come siamo
stati fino ad oggi al fianco dei concorrenti incolpevoli – così continueremo ad
esserlo anche nel prosieguo di questa incredibile vicenda,
in tutte le sedi in
cui essa avrà seguito (come non mancherà di accadere). E fin da subito
dichiariamo il nostro impegno ad esercitare ogni possibile pressione sul
Ministero e sul Governo perché faccia quanto di sua competenza per tutelare, con
i provvedimenti possibili ed appropriati, gli interessi di chi è stato
danneggiato. Senza dimenticare tutte quelle scuole lombarde, che per il secondo
anno consecutivo, si vedrebbero private di una guida stabile ed a tempo pieno.

Non meno paradossale la sentenza
relativa all’Abruzzo,
in cui il motivo dell’annullamento è l’eccessivo numero
di presidenti e commissari che si sono avvicendati durante la correzione delle
prove scritte. All’amministrazione in questo caso si rimprovera di aver sempre sostituito,
senza batter ciglio, quelli che via via si sono dimessi, quasi tutti per
asseriti motivi di salute. Argomenta il TAR che tutte quelle malattie dovevano risultare
sospette e che l’USR non avrebbe dovuto “bersela”. E che avrebbe dovuto fare,
di grazia, di fronte ai certificati medici: mandare i carabinieri?

Anche qui, almeno quaranta scuole
sono vittime incolpevoli di ragionamenti “astratti”, che non tengono conto del
principio di realtà e degli interessi in gioco. 

Non è nostra intenzione mettere
in discussione la dottrina giuridica che sottostà alle sentenze, né la
correttezza professionale di chi le ha emesse. Ma è evidente che qualunque
procedura amministrativa – ed in particolare qualunque procedura concorsuale
(nella quale, per definizione, si scontrano interessi contrapposti) – soccomberebbe
e soccomberà, se esaminata con la semplice ottica dell’astrazione di principio. La giustizia amministrativa non esiste per librarsi su principi astratti, ma
per governare scontri di interessi concreti
.  E nelle sue decisioni non può
ignorare i danni che eventualmente produce. 

Più in generale, queste vicende
confermano il nostro giudizio – espresso da tempo – circa l’inidoneità del
modello di concorso
che conosciamo da centocinquant’anni a misurarsi con le
nuove realtà e tensioni sociali. Non può più bastare l’astratto (ancora una
volta) richiamo al precetto costituzionale, quando si continua a dimenticare
che esso è posto a presidio del “buon andamento”. Di quale buon andamento si
può parlare quando nessun concorso ormai va a buon fine, perché si sommano tre
elementi tutti sfavorevoli: l’inadeguatezza dell’Amministrazione, la litigiosità degli esclusi e la sovrana indifferenza dei giudici amministrativi per la salvaguardia degli
interessi comuni?

La Costituzione va rispettata, ma
nei suoi valori e non solo nella sua lettera: e gli astratti principi vanno
sempre messi a riscontro con le conseguenze che ne discendono nei fatti. Quando
troppo spesso gli effetti sono dannosi, occorre interrogarsi sulle cause.