E’ appena di ieri il pasticcio sui 150 euro mensili, prima
pretesi e poi “condonati” ai docenti. E mentre scriviamo non si sa ancora da
dove saranno prelevate le risorse per evitare quel recupero. Se, come sembra,
si metterà mano ancora una volta al MOF, di fatto questo risulterà azzerato.
E’ l’ennesima riprova della disinvoltura ed anche
dell’arroganza con cui ormai il Ministero dell’Economia si muove rispetto alla
retribuzione dei lavoratori della scuola: come se si trattasse di
un’elargizione sovrana e non di somme contrattate sulla base di accordi
bilaterali.
Non si tratta di casi sporadici o isolati. Da oltre sei mesi
è aperta per i dirigenti scolastici una vertenza per certi versi simile a
quella che riguarda docenti ed ATA. L’Ufficio Centrale di Bilancio (emanazione
del MEF presso il MIUR) pretende unilateralmente di applicare al Fondo Unico
Nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato una modalità di
calcolo non prevista da alcuna norma di legge, ma che risulta più penalizzante
per la categoria di quella concordata al tavolo contrattuale, con la firma
anche del MIUR. La conseguenza è che, se tale posizione sarà imposta con atto datoriale,
i dirigenti scolastici rischiano di rimetterci oltre duemila euro annui a
testa. Né va dimenticato che, in Sardegna ed in Campania, in esito ad analoghe
precedenti vicende, recuperi erariali molto più pesanti sono già in atto da
tempo.
L’Anp dice basta a queste prassi illegali e violente. E’
tempo di ricordare con chiarezza e con tutta la forza necessaria che i
contratti hanno valore di norma e che non possono essere stracciati a
piacimento di una delle parti. Nel caso specifico, poi, si vorrebbe sapere chi
sia il “datore di lavoro” cui fare riferimento, visto che i contratti
integrativi nazionali e regionali vengono firmati con uffici del MIUR, ma è poi
il MEF che decide se ed in quale misura dar loro applicazione. Se siamo
diventati dipendenti del MEF gradiremmo saperlo: almeno forse entreremmo a
parte dei numerosi (ed intoccabili) privilegi di cui essi hanno finora goduto.
Ma fino a quando siamo dipendenti di un Ministero meno fortunato
economicamente, chiediamo che i patti che firmiamo con il nostro datore di
lavoro vincolino anche l’Amministrazione dello Stato nel suo insieme.
Siamo stanchi di reiterare rimostranze verbali e passi
istituzionali, come finora abbiamo fatto per senso di responsabilità e nella
convinzione di essere anche noi rappresentanti dello Stato sul territorio. Se i
patti sono pezzi di carta, non lo sono per una parte sola: e, se vi saremo
costretti, siamo pronti a trarne tutte le conseguenze.