Un documento come quello diffuso oggi da Palazzo Chigi, per la sua natura palingenetica, ha l’ambizione di aggregare il massimo del consenso. Sicuramente ha diversi argomenti a proprio favore: per esempio, alcune delle ricette indicate, come l’organico funzionale; ovvero la promessa di maggiore risorse per le scuole, sia per l’edilizia che per il MOF. E come non vedere con favore l’introduzione del nucleo di valutazione di istituto o l’impegno a riscrivere il testo unico, eliminando al contempo le norme qualificabili come irragionevoli e moleste?
Le intenzioni espresse sono dunque largamente positive e come tali vanno apprezzate. Se mai, qualche riserva emerge quando dal generale si passa agli aspetti specifici. Per esempio, tutto l’impianto del documento è fortemente centralistico e l’autonomia delle scuole – pur esplicitamente richiamata in uno dei capitoli – è in realtà sistematicamente assorbita da una regolazione tutta affidata a scelte governative. A cominciare dall’assunzione dei 150.000 docenti e dalla gestione dei futuri concorsi, che cancellano ogni ipotesi di un ruolo delle scuole “autonome” nella scelta dei propri insegnanti e mantengono saldamente il controllo del personale all’Amministrazione centrale e periferica. Come si può immaginare una scuola in grado di elaborare un proprio progetto didattico, se a realizzarlo saranno docenti assegnati sempre e soltanto da fuori?
Parliamo di governance. La distinzione concettuale di fondo, fra potere di indirizzo e potere di gestione, non fa una grinza. Peccato che, appena un mese fa, lo stesso governo abbia negato ai dirigenti scolastici l’inclusione nel ruolo unico con l’argomento che la loro dirigenza non avrebbe natura gestionale. Semplice distrazione?
E, sempre parlando di dirigenti, non appare un passo avanti neppure l’aver immaginato gli “ispettori” come una progressione di carriera del dirigente scolastico: si verrebbe così implicitamente a ripristinare una collocazione gerarchica che era stata superata da tempo.
Parliamo di un altro dei punti qualificanti: la cosiddetta “carriera” dei docenti, su cui molte anticipazioni erano circolate nei giorni scorsi. Quella che ci viene presentata, in realtà, è una diversa progressione economica, ma non una carriera, che presupporrebbe dei livelli e delle distinzioni di funzioni. I docenti continuano invece ad essere visti come appartenenti ad un profilo unico, che si differenzia solo per le funzioni svoltepro tempore.
In materia di progressione economica, colpisce il livello di dettaglio con cui nel documento vengono definiti aspetti che il quadro normativo vigente attribuisce al contratto: la periodicità degli “scatti di competenza” (tre anni), la loro misura (60 euro “netti”), la platea dei beneficiari (il 66%, non uno di più, né uno di meno). Dobbiamo inferirne che la contrattazione non esisterà più o che sarà ridotta ad aspetti marginali del rapporto di lavoro?
Si potrebbe continuare nei distinguo: ma non ne vale la pena, visto che molti degli aspetti che caratterizzeranno la nuova scuola sono ancora da disegnare. Sarà invece il caso di sottolineare alcuni punti di attenzione che dovranno essere tenuti presenti nella fase del dibattito e, soprattutto, in quella di elaborazione delle misure normative conseguenti.
Uno di questi riguarda certamente i poteri del dirigente. Se ne è parlato con molta enfasi nei giorni scorsi: ma nel documento non si trova molto che giustifichi le impegnative metafore spese al riguardo. Invece, sono uno dei punti determinanti per assicurare il cambiamento. Nessuno può pensare che una rifondazione così impegnativa del modo di essere e di funzionare della scuola possa avvenire senza un adeguato livello di governo locale dei processi.
Sempre in questo ambito, mentre si richiamano a più riprese le funzioni di sistema che dovrebbero essere svolte dai docenti, nulla si dice sulle modalità di individuazione di coloro che dovranno svolgerle. Si vuole sperare che tale silenzio sottintenda la responsabilità del dirigente: ma certo i provvedimenti attuativi dovranno prevederlo in modo esplicito, a meno di non voler tornare indietro anche rispetto alla situazione normativa attuale. Tanto più che i “crediti professionali” sono essenziali per lo sviluppo economico degli interessati: non si può certo pensare di scaricare sul Collegio docenti l’ennesimo conflitto di interessi, consistente nella distribuzione fra i suoi membri di incarichi retribuiti e delle prospettive di avanzamenti di carriera.
Molte cose sono ancora sospese fra il cielo e la terra nella filosofia enunciata oggi da Palazzo Chigi: una di queste è se l’interlocuzione dei sindacati, ed in generale dei corpi intermedi, venga ancora considerata come un elemento del panorama futuro o se vi sia una presunzione a priori di autosufficienza del governo e, se mai, la scelta di un rapporto esclusivo o privilegiato con i social network.
Ci auguriamo di no. Noi intendiamo in ogni caso accompagnare la fase di confronto e di dibattito con il nostro contributo di analisi e di proposta. Invitiamo i colleghi dirigenti e docenti a fare altrettanto, in modo che si possa realmente verificare fino a che punto le dichiarazioni di apertura, di cui il documento è prodigo, avranno un reale spazio nel dare forma ai provvedimenti che verranno.
Una buona scuola? Nessuno più di noi lo auspica: e tuttavia non vorremmo che il desiderio di un cambiamento ad ogni costo faccia perdere di vista che alcune soluzioni esistono e sono state sperimentate da tempo. Inventare ogni volta la ruota può non essere il modo migliore per accelerare il cambiamento che tutti riconosciamo come necessario.
3 settembre 2014