Caro collega,
è in atto una vera e propria campagna volta ad emarginare la dirigenza scolastica dal quadro delle altre dirigenze delle amministrazioni pubbliche, o addirittura ad eliminarla del tutto. I segnali sono molteplici:
– l’esplicita esclusione della dirigenza scolastica dal “ruolo unico della dirigenza statale” di cui al testo del DdL 1577 in discussione al Senato;
– la proposta di legge, inizialmente “di iniziativa popolare” ed ora fatta propria da un certo numero di parlamentari sia della Camera che del Senato, con cui – fra l’altro – si chiede l’abrogazione della norma “fondante” della dirigenza scolastica, cioè l’art. 25 del DLgs. 30 marzo 2001 n. 165;
– l’appoggio pubblico che il maggior sindacato del comparto scuola – la FLC CGIL – ha recentemente manifestato alla proposta di legge in questione, attraverso l’adesione del suo segretario generale, Domenico Pantaleo (il quale ha poi parzialmente preso le distanze: ma l’adesione resta e costituisce fatto politicamente rilevante);
– l’iniziativa di due dei firmatari della proposta di legge in questione di scrivere a tutte le istituzioni scolastiche della Repubblica per chiedere la diffusione fra il personale e le famiglie del testo della proposta stessa e l’apertura di un pubblico dibattito in merito, con esplicito riferimento ad una pretesa “par condicio” rispetto al documento governativo sulla Buona scuola.
Né meno insidiose sono le proposte – molte volte formulate nelle recenti assemblee dei dirigenti da parte delle diverse organizzazioni sindacali – per una riscrittura del profilo professionale. In tali proposte si fa spesso riferimento ad una “ricentratura” del ruolo sulla missione educativa, lasciando ad altri i compiti gestionali ed organizzativi, visti tout court come sinonimo delle molteplici molestie amministrative e dei soffocanti carichi burocratici di cui la funzione è stata caricata negli ultimi anni. Un dirigente cui fossero sottratte le prerogative gestionali ed organizzative cesserebbe per ciò stesso di essere un dirigente, per diventare una sorta di coordinatore didattico, un primus inter pares fra i docenti.
Questo moltiplicarsi di iniziative anti-dirigenza scolastica si colloca, ironicamente, alla vigilia della emanazione dei provvedimenti sulla Buona Scuola, che richiederebbero invece – esplicitamente – un potenziamento del ruolo. E’ lo sforzo, da parte di quel variegato mondo politico e sindacale che non ha mai in realtà accettato l’autonomia e la dirigenza per tornare indietro, “prima che sia troppo tardi”. Non è un caso se la stessa proposta di legge che intende cancellare l’art. 25 vuole riportare la scuola agli ordinamenti degli anni Settanta e non cita neppure una volta, nei suoi quasi trenta articoli, la parola “autonomia”.
Le argomentazioni – da quelle più dirette e radicali a quelle più morbide e striscianti – vanno tutte nella stessa direzione: via dalla scuola ogni potere organizzativo e spazio all’autodeterminazione dei singoli operatori. Esse riposano su una serie di leggende metropolitane, a cominciare da quella per cui un milione di addetti, cui viene conferita la massima libertà individuale di autodeterminazione, potrebbero dar vita ad un sistema nazionale di istruzione per spontanea adesione a valori che si suppongono condivisi. Una favola, o un incubo, che solo chi conosce realmente come funzioni la scuola può misurare appieno.
Ma c’è un’altra leggenda che va sfatata con decisione, tanto maggiore quanto più forte è il suo potere seduttivo: quella secondo cui la complicazione burocratica e la molestia amministrativa siano la conseguenza diretta e naturale della condizione dirigente. Si tratta di un assunto contrario a logica e ad evidenza: basta guardarsi attorno, alle altre dirigenze pubbliche, per rendersene conto. E’ vero il contrario: i carichi burocratici e la persecuzione amministrativa sono un mezzo per impedire al dirigente di fare il dirigente, per trasformarlo in un travet schiacciato dagli adempimenti e privo della libertà intellettuale e del tempo per svolgere a pieno la propria funzione naturale: che è quello di organizzare, intorno ad un progetto comune ed al servizio della comunità, il lavoro di chi fa parte della stessa unità organizzativa.
Le funzioni delle amministrazioni sono, da sempre: di indirizzo e controllo, di organizzazione e gestione, di supporto e servizio. In un sistema bene ordinato ed in tutte le amministrazioni che funzionano, le prime appartengono al vertice politico (il Ministero), le seconde ai dirigenti delle unità operative, le terze agli uffici periferici dell’amministrazione.
Solo nella scuola il Ministero non esercita i poteri che sarebbero suoi propri (e la mancanza di un indirizzo e soprattutto di un controllo non è l’ultima causa dello sfascio attuale), mentre pretende di esercitare quelli di organizzazione e gestione, e scarica sui dirigenti delle scuole quelli di servizio. Non è questo il modo corretto di intendere la distribuzione delle responsabilità. Il Ministero deve tornare a fare il suo, posto che sappia ancora come si fa. Gli uffici periferici (UAT) si occupino delle questioni burocratiche e dei servizi di supporto (legali, previdenziali, contenzioso, anticorruzione e quant’altro); e ai dirigenti delle scuole si lasci quello che è il loro compito e cioè la gestione e l’organizzazione delle risorse umane e professionali sul campo.
Caro collega, è importante che ciascuno di noi comprenda che ci si trova ad un bivio: o si riprende l’iniziativa e l’orgoglio professionale, respingendo le sirene di una impossibile de-responsabilizzazione, o saremo costretti ad intraprendere il cammino della ritirata. Dobbiamo dire alto e forte che non sono le responsabilità che ci fanno paura, ma che rifiutiamo di considerare responsabilità quelle che non sono altro che adempimenti di servizio, che spetterebbero ad altri e vengono scaricati su di noi: non solo per alleggerire chi dovrebbe occuparsene, ma per soffocare il nostro tempo e per impedirci di esercitare il nostro ruolo. Dirigenza e complicazione burocratica non sono sinonimi, sono in antitesi fra loro.
La battaglia per il ruolo unico della dirigenza non è diversa da quella per la dirigenza tout courte da quella per l’equiparazione retributiva a tutta la dirigenza pubblica: sono facce diverse di una stessa medaglia. Come facce diverse di un’altra medaglia sono la proposta di legge di iniziativa popolare, il tentativo di riscrivere il profilo professionale e l’esclusione dal ruolo unico. Si tratta di capire quali sono le implicazioni di questi due scenari, che sono alternativi fra loro: e di scegliere il proprio campo.
Anp ha fatto la propria scelta e da sempre: non ha motivo di cambiare. Altri – che per un tempo hanno fatto finta di percorrere la stessa strada – cercano oggi di promuovere scelte diverse, che portano, in un modo o nel’altro, alla negazione dell’autonomia delle scuole e della dirigenza piena di esse. C’è chi lo fa in modo aperto e dichiarato e chi lo fa indirettamente e senza scoprirsi. Ma una qualità fondamentale per i dirigenti è comprendere ed interpretare gli scenari che si agitano intorno a loro, cercando di condizionarli.
Se sei già un nostro iscritto, ti chiediamo di confermare con un rafforzato impegno personale le ragioni della nostra battaglia culturale e politica per la dirigenza fra gli altri dirigenti. Se non lo sei ancora, questo è il momento per riconsiderare le tue scelte e per comprendere dove sta l’interesse della scuola ed il tuo interesse professionale.
La vittoria è ancora possibile, come lo è stata quindici anni fa, se avremo visione chiara ed unità di intenti. Chi ci vuole divisi e deboli non lavora per noi, ma contro di noi: occorre comprenderlo e contrastarlo.
Ti saluto e ti invito ad unirti a noi fin da queste settimane decisive per il futuro della buona scuola e di tutta la categoria.
Roma, 23 febbraio 2015.
Giorgio Rembado
Presidente Anp