Sorpresa: gli italiani hanno, in materia di scuola, le idee più chiare di quanto comunemente si pensi. In ogni caso, più chiare di molti politici. A dirlo, è un sondaggio condotto durante l’estate su un campione rappresentativo di cittadini e pubblicato sul Corriere di oggi 10 settembre.
Il primo dato che emerge è che il giudizio complessivo sulla scuola è di sostanziale sufficienza: ma con una significativa distinzione. Essa viene ritenuta di livello discreto per quanto riguarda la formazione generale della cultura degli studenti, ma sostanzialmente poco idonea a prepararli alla vita lavorativa. Quello che nel dibattito degli specialisti è il dibattito fra conoscenze e competenze, si traduce in termini pragmatici nel linguaggio dei cittadini, ma la sostanza non cambia.
Positivo l’atteggiamento verso i test INVALSI, che dovrebbero essere estesi e resi più attendibilil, eliminando le copiature ed i vari tentativi di elusione. Qui il giudizio è critico soprattutto verso gli insegnanti che non preparano abbastanza gli studenti e che consentono loro di copiare. Del tutto simmetricamente, gli insegnanti in maggioranza ritengono i test inutili e, per alcuni, perfino dannosi.
Gli italiani chiedono più valutazione per la scuola in generale, per i suoi studenti, ma anche per i suoi operatori. Sono in maggioranza favorevoli a che gli insegnanti siano valutati dai presidi, ma non sono del tutto sicuri che questi ultimi siano tutti all’altezza. Vorrebbero un corpo ispettivo preparato per vigilare sulle scuole ma anche per selezionare i presidi migliori, cui affidare il governo reale degli istituti.
Infine il giudizio sulla riforma della buona scuola: positivo nel suo insieme, ma con qualche critica per la sua eccessiva timidezza. Bisognava fare di più, cambiare di più, andare più a fondo. Insomma, il paese reale – quello per servire il quale la scuola esiste – sembra dare una lettura opposta a quella degli addetti ai lavori: la riforma ha peccato perchè ha mediato troppo e non ha cambiato abbastanza e non perché ha forzato le situazioni.
 
PIù in generale – e questo è un punto sul quale occorrerà riflettere – emerge dal sondaggio una scollatura sostanziale fra il giudizio che sulla scuola danno gli “interni” (o almeno coloro che parlano in loro nome) e quello che ne danno gli “esterni”, cioè gli utenti. Questo non è un buon segnale: e non è un problema di attribuire le ragioni ed i torti. Quando, in un servizio fondamentale come quello dell’istruzione, le aspettative ed i giudizi dei cittadini divergono così nettamente da quello degli addetti, non c’è da attendersi nulla di buono. Nè sul piano del prestigio sociale dell’istituzione e di chi vi lavora, né sul piano delle risorse da chiedere al contribuente e neppure su quello retributivo.
Sarebbe opportuno che su questi temi si aprisse un dibattito nazionale, che chiarisse ciò che è lecito chiedere alla scuola e quali sono i costi da sostenere. E, dall’altra parte, cosa è doveroso offrire. Altrimenti, il dialogo fra sordi potrà anche andare avanti: ma a rimetterci non saranno solo gli addetti ai lavori, ma i ragazzi e, in prospettiva, il paese di domani.
 
Si veda il sondaggio completo e l’articolo di Roger Abravanel a pagina 27 del Corriere di oggi.