È proprio vero: quando si crede di aver visto tutto, c’è sempre chi è in grado di sorprenderci. Nel caso specifico, la reazione unitaria dei sindacati alla nota ministeriale in materia di didattica a distanza. Tanto immediata ed automatica da evocare riflessi pavloviani, in un momento e in un contesto in cui sarebbero invece auspicabili atteggiamenti ben più meditati e consoni alla gravità del passaggio in cui ci troviamo.
Il Ministero, per una volta, ha fatto quello che sarebbe il suo compito: e cioè esercitare una funzione di indirizzo in una situazione nuova e per la quale non esistono precedenti amministrativi e riferimenti normativi. Si può, ovviamente, non concordare nel merito pedagogico delle indicazioni: ma appare surreale che si voglia ricondurre tutto ad una pretesa violazione delle relazioni sindacali.
Sorprende che sindacalisti esperti e navigati non si rendano conto che ci si muove fuori dal contesto tradizionale e che le regole del tempo di emergenza non possono essere le stesse dei tempi ordinari.
Ma è poi contestabile l’assunto stesso da cui ci si muove: che si tratti di organizzazione del lavoro. No, qui si tratta della natura del lavoro, dei suoi obiettivi e dei suoi metodi. Qui è scontato che le lezioni non riprenderanno di fatto e, nella migliore delle ipotesi, prima di Pasqua: e sono in molti a pensare, magari senza dirlo, che più probabilmente si va a maggio o che forse, per quest’anno, le lezioni in classe sono pure finite.
Di fronte a un tale scenario, che rischia di compromettere – con l’anno scolastico – anche il futuro di un’intera generazione di giovani, cosa ci sa dire il sindacato? Fermi tutti, dovete discuterne con noi! Tanto varrebbe aprire una vertenza con il virus in persona, che ha sconvolto unilateralmente l’organizzazione di tutto il mondo del lavoro senza confrontarsi con i sindacati.
Molti insegnanti si sono già lanciati con ammirevole dedizione ad apprendere un lavoro nuovo, ben sapendo di essere, nonostante tutto, dei privilegiati rispetto a quanti combattono il virus e le sue conseguenze su fronti ben più a rischio; e ben sapendo che non rischiano né il posto né lo stipendio, a differenza dei milioni di altri lavoratori che in questo momento non sanno cosa li attende per dopo. Lo sanno e fanno quel che devono, senza se e senza ma. Non sappiamo fino a che punto siano contenti di questo tipo di iniziative sindacali che rischiano di farli passare, agli occhi della pubblica opinione, per quelli che non vogliono fare la loro parte in un momento in cui tutti devono darsi da fare.
Gli insegnanti che noi conosciamo e con cui lavoriamo ogni giorno con un impegno comune non somigliano a questa rappresentazione caricaturale della loro professione. Al contrario, hanno reagito con senso di responsabilità e con dedizione alla situazione in cui si sono venuti a trovare ed hanno accolto perfino con qualche sollievo il documento di indirizzo che hanno ricevuto: pronti a discuterne nel merito, se necessario, ma non a contestarne la ragion d’essere. Perché loro, a differenza di altri, non hanno perso di vista il senso del loro ruolo e la percezione dell’attesa sociale che in questo momento si rivolge verso la scuola.