È stato presentato oggi, 12 luglio, il Rapporto INVALSI 2023.
La lettura dei dati – strumenti oggettivi preziosi ed essenziali per fotografare il sistema e suggerire piste di intervento – ci restituisce un sistema scolastico segnato pesantemente dai divari territoriali che tendono a diventare sempre più severi, raggiungendo le due cifre in più rilevazioni: ad esempio, nella scuola secondaria di primo grado, per quanto riguarda gli esiti in matematica, “la distanza complessiva stimata in termini di risultati medi tra gli studenti del Nord Est e quelli del Sud e Isole è di 25,7 punti, pari all’apprendimento presunto di circa due anni di scuola”.
Peraltro i livelli di apprendimento in italiano e matematica sono in calo generalizzato, anche nei territori “virtuosi”, rispetto a quanto registrato non solo nel 2022 ma pure negli anni immediatamente precedenti. Sorprende poi il dato della scuola primaria, sino a questo momento pilastro solido del sistema stesso, come avevano dimostrato anche gli esiti dell’indagine internazionale IEA – PIRLS 2021 (seppur calibrati sulla classe quarta primaria). In tale segmento, infatti, i dati riflettono una situazione che negli anni a seguire può assumere connotati di particolare gravità: compaiono, infatti, i primi, non timidi, segnali relativi ai divari territoriali. Siamo tutti consapevoli della rilevanza del ciclo primario come snodo dell’apprendimento. Sappiamo pure bene come le piccole differenze iniziali possano determinarne grandi nel prosieguo del percorso scolastico, con conseguenze negative sugli esiti finali delle studentesse e degli studenti.
C’è anche qualche luce, però. Le competenze in inglese registrano un andamento in controtendenza: gli apprendimenti in tale disciplina al termine del secondo ciclo d’istruzione sono in costante miglioramento in tutti le regioni, pur con divari territoriali significativi. Si tratta di un dato di notevole importanza dato che il possesso di competenze nelle lingue straniere è una delle leve determinanti per i processi di internazionalizzazione e per consentire ai nostri giovani di sostenerne le sfide in campo di studi, lavorativo e relazionale.
Altra luce riguarda il significativo calo dell’insidiosa dispersione scolastica implicita, soprattutto in alcuni territori del Sud. Inoltre, anche la dispersione esplicita cala in percentuale e rende concretamente raggiungibile il traguardo del 10,2% di ELET (“giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno conseguito al massimo la licenza di scuola secondaria di primo grado e che non sono coinvolti in alcun percorso formativo”) entro il 2025. Sia per quanto riguarda l’inglese che la dispersione, dunque, sembra che il sistema scolastico stia reagendo efficacemente.
È necessario reagire con velocità e determinazione anche per superare le criticità segnalate dal Rapporto. Il documento ci dice chiaramente che il sistema scolastico è affetto da una patologia che si deve e si può curare a patto, però, di fare scelte coraggiose. Se davvero vogliamo modificare gli esiti di tale sistema esso va cambiato strutturalmente e radicalmente. Dobbiamo prendere atto che la didattica prevalente è ancorata a un paradigma metodologico gentiliano risalente a un secolo fa e che il modello organizzativo della scuola risale a una configurazione elaborata cinquanta anni fa.
La scuola opera sulle persone, accompagnandole e supportandole nel loro processo di crescita e di sviluppo. Si tratta, però, di un percorso di cui solo a distanza di tempo si vedono e si valutano i risultati. Investire sulla scuola, con modifiche radicali e incisive, significa generare, sul lungo termine, un elevato rendimento complessivo per la collettività.
Occorre che la Nazione e il decisore politico ne siano pienamente consci.