I recenti episodi di aggressione e violenza ai danni di docenti e dirigenti scolastici ci impongono una riflessione rispetto al ruolo che la scuola e i suoi operatori rivestono oggi nella società civile e nell’immaginario collettivo.
Il 31 gennaio scorso, a Taranto, un dirigente scolastico è stato aggredito verbalmente e fisicamente dai genitori di un’alunna; pochi giorni dopo, a Varese, una professoressa è stata accoltellata da un suo studente diciassettenne; proprio ieri, a Reggio Calabria, un padre ha aggredito l’insegnante del figlio.
Questi sono solo gli ultimi dei numerosi atti violenti e intimidatori commessi da alunni e genitori nei confronti del personale scolastico su tutto il territorio nazionale.
Il Ministro Valditara, di recente, ha restituito un quadro statistico che mette in luce la crescente evenienza di tali episodi nella prima metà dell’anno scolastico 2023/24. Ben venga, dunque, l’intervento legislativo che il Ministro intenderà promuovere per ripristinare quel senso di autorevolezza e di rispetto, tanto dell’autorità quanto in generale del nostro prossimo, senza il quale non ha alcun senso parlare di civile convivenza, principio fondante della scuola. Siamo quindi favorevoli all’iniziativa ministeriale che aspettiamo di leggere in dettaglio per esprimerne una valutazione compiuta. Ci aspettiamo, comunque, misure incisive e concrete.
Al di là delle motivazioni legate ai singoli casi, spesso pretestuose, sembra emergere sempre più prepotentemente l’immagine di debolezza e svilimento associata a un’istituzione, la scuola, che dovrebbe costituire, invece, un baluardo inespugnabile di valori costituzionali e di impegno civico.
Non possiamo fare a meno di chiederci quali fattori determinino, all’interno di una società che appare sempre più disgregata e in crisi, tale escalation di violenza e distruttività. La risposta più immediata sembra ipotizzare una connessione tra la crescente violenza di certe manifestazioni – in questo caso nei confronti del personale della scuola – e la crescente frammentazione di un tessuto sociale in cui le famiglie non sono più in grado di assolvere al loro compito educativo e la politica, evidentemente, non sa offrire risposte convincenti alle incertezze di cui sono preda adolescenti, giovani e adulti.
Ci chiediamo, anche, se sia possibile correlare i gravissimi fatti appena occorsi con le devastazioni generalizzate che negli scorsi mesi hanno interessato tante scuole, in particolare della capitale, durante le giornate di occupazione. Ci chiediamo, altresì, quale ruolo rivestano, in questa dinamica, i deludenti livelli di possesso delle competenze di base dei nostri alunni e gli elevati tassi di insuccesso e di abbandono scolastico.
Sospettiamo che il comune denominatore di tali fattori possa essere il venir meno della fiducia collettiva nei confronti della scuola, più che quella perdita di prestigio “sociale” di cui molti, a torto o a ragione, parlano. Tale collasso, infatti, sembra in grado di provocare una seria dispercezione di quello che è – o dovrebbe essere – il valore aggiunto della scuola e del suo essere “bene comune” a favore degli studenti, delle loro famiglie e della società stessa.
Chi lavora nella scuola tende, per sua natura, a interrogarsi per chiedersi in cosa stia sbagliando. Riteniamo, però, che simili domande debbano interessare ciascuno di noi: tutti dovremmo chiederci quale tipo di messaggio vogliamo trasmettere alle future generazioni che, forse, si percepiscono senza un futuro, incastrate e irrisolte tra crisi pandemiche, emergenza climatica, guerre globali e sbocchi professionali incerti.
Di certo non possiamo restare indifferenti davanti alla violenza, soprattutto se colpisce dirigenti e docenti che, quotidianamente, mettono al servizio della comunità competenze e vocazione educativa e specie quando, a esercitarla, sono proprio i destinatari della funzione di istruzione. La condanna unanime che in questi giorni riceviamo dai media non ci stupisce: del resto la scuola, in negativo, fa sempre notizia. Ma tale condanna, purtroppo, non si concretizza in cambiamenti di percezione.
Cambiamenti che, probabilmente, potremo innescare riproponendo, ancora una volta e con caparbietà, gli irrinunciabili valori costituzionali che fondano la nostra democrazia e la nostra stessa scuola. E convincendo l’opinione pubblica della necessità di rinunciare a soluzioni facili e gridate, a biasimi demagogici in bilico costante tra permissivismo buonista e derive autoritarie, nostalgiche di un mondo ormai tramontato. E, ancora, testimoniando fino in fondo il valore supremo dell’istruzione e dell’educazione, l’impegno a difendere il diritto di tutti – e, in particolare, dei più deboli – a crescere in un ambiente sereno, a formarsi nella consapevolezza dei propri bisogni e delle proprie potenzialità, a creare relazioni positive e ricche di senso con il mondo circostante.
In definitiva, riteniamo lanciare un appello affinché ciascuno, per la sua parte, si impegni a fondo e contribuisca alla costruzione di un’ipotesi di futuro credibile e accessibile a tutti.
L’ANP, rappresentativa da più di tre decadi di una voce appassionata e autorevole della scuola, intende fare proprio questo imperativo morale, oggi più cogente che mai.