Il problema del precariato nel mondo della scuola, ben noto da molto tempo, è improvvisamente tornato alla ribalta mediatica perché l’UE ha recentemente deferito l’Italia alla Corte di Giustizia Europea per abuso di contratti a tempo determinato, con conseguenti condizioni di lavoro discriminatorie. La questione riguarda sia il personale docente che quello ATA.
L’UE, in concreto, ha messo sotto accusa la legislazione italiana in quanto non prevede che i supplenti fruiscano di incrementi retributivi analoghi a quelli destinati ai colleghi di ruolo.
La causa, come riportato da Tuttoscuola, è immediatamente individuabile nella “cronica lentezza” delle modalità di reclutamento. Cioè, delle procedure concorsuali.
È sempre spiacevole sottolineare che “l’avevamo detto” ma, incontestabilmente, è un fatto che l’ANP invochi da tempo una radicale riforma delle procedure di assunzione, chiedendo a gran voce che siano le istituzioni scolastiche a provvedervi, visti i numeri in gioco: mediamente tra 30.000 e 40.000 unità di personale da assumere ogni anno.
Il risultato delle scelte operate finora è sotto gli occhi di tutti: i numeri del precariato sono ormai fuori controllo, al punto di essere difficilmente quantificabili, e ammontano a centinaia di migliaia.
L’ANP evidenzia, ancora una volta, come la responsabilità di questa deprecabile situazione non gravi su alcun singolo Governo ma ricada su tutti i decisori politici che si sono succeduti per almeno mezzo secolo. Non sarà superfluo, al riguardo, rileggere il quarto comma dell’articolo 97 della Costituzione – spesso citata a sproposito per sostenere la tesi avversa – che così recita: “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.” Quindi, anche se il condivisibile principio generale è quello dell’accesso agli impieghi pubblici tramite concorso, la nostra legge fondamentale ben prevede che possano sussistere ragionevoli motivazioni per disporre diversamente tramite norma primaria.
E qui, di motivazioni, ve ne sarebbero tante e tutte di gran peso:
- assicurare la competenza del personale assunto nei ruoli pubblici
- garantire ai cittadini un servizio di qualità
- garantire la continuità didattica
- dare sicurezza lavorativa ai dipendenti, tutti da assumere a tempo indeterminato
- prevenire il precariato, impedendo discriminazioni di sorta.
Tali esigenze sono disattese da decenni in nome di due infondate motivazioni:
- l’asserita oggettività delle procedure concorsuali – ma sarebbe meglio parlare di deresponsabilizzazione dei soggetti chiamati ad attuarle – che, però, fa proferire la fatidica frase “è un incompetente ma ha vinto il concorso” come somma dimostrazione di impotenza, di disfunzionalità e di ineluttabilità di un destino figlio, invece, solo del rifiuto di risolvere il problema e di adottare soluzioni in uso presso quasi tutti i paesi europei;
- l’inaccettabile pregiudizio di favoritismo e abuso generalizzati nei confronti degli operatori che sarebbero chiamati a disporre le assunzioni se si abolisse la prassi concorsuale, ignorando che l’esposizione sociale di una scuola è il più potente antidoto a tali misfatti.
L’ANP chiede alla classe politica, ancora una volta, di affrontare con determinazione un problema che non va ulteriormente ignorato. E non si tratta – sic et simpliciter – di attribuire il potere assunzionale al dirigente scolastico: l’uomo solo al comando non ci è mai piaciuto.
Al contrario, si potrebbe valorizzare il comitato di valutazione, organo collegiale chiamato a formulare un importante parere obbligatorio a fondamento della decisione gestionale del dirigente scolastico circa la conferma in ruolo dei docenti vincitori del concorso e assunti in prova. Così come tale organo si esprime generalmente una decina di mesi dopo l’immissione in ruolo, visto che le conferme si dispongono nei mesi di giugno e luglio, esso potrebbe anche prendere posizione subito prima dell’assunzione, a seguito dell’esame di un limitato numero di candidati, quale necessaria premessa per la successiva decisione dirigenziale.
Il decisore politico ha oggi l’opportunità di compiere una scelta giusta nell’interesse della collettività.
Certo, serve coraggio!
Se non ora, quando?