Il ceto medio è ormai il bersaglio obbligato della manovra per il risanamento della finanza pubblica e questo non già perché sia il colpevole del dissesto ma proprio per un sistema “premiante” al contrario. E’ il principale soggetto sociale che concorre nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni alla produzione della ricchezza del paese, ma al tempo stesso è anche il più penalizzato sul piano retributivo e previdenziale.

Per i dirigenti, i professionisti e i quadri pubblici in servizio non aumenteranno le retribuzioni a seguito del blocco della contrattazione protratto di un altro anno e per i pensionati di tutte le categorie dirigenziali e professionali private e pubbliche si arriverà non solo al blocco della perequazione dei loro trattamenti ma persino alla riduzione degli stessi.

Si era chiesto che la nuova manovra seguisse una volta tanto un criterio di equità ed andasse a colpire i costi della politica, le rendite parassitarie e l’evasione fiscale e invece punisce i soggetti che spendono o hanno speso tutte le loro energie per la crescita del paese. C’è da chiedersi a quando si vuole rinviare la lotta agli sprechi, all’inefficienza e al malaffare, se neppure in un momento di crisi come l’attuale si ha la forza di attaccare i veri fattori di debolezza del nostro sistema.

COMUNICATO STAMPA

MANOVRA: DIRIGENZA CONTRO TAGLI SENZA PROSPETTIVE

Confedir-Mit e Cida chiedono equità nei sacrifici, coraggio e riforme strutturali

I provvedimenti della manovra correttiva colpiscono ancora una volta i cittadini onesti, ovvero i contribuenti – lavoratori, famiglie, imprese e pensionati – che pagano le tasse, e soprattutto il ceto medio da noi rappresentato.

Il primo punto debole della manovra è rappresentato dalla sostanziale mancanza di interventi volti a rafforzare il ritmo di crescita della nostra economia; mancanza che rischia di vanificare gli stessi sforzi di risanamento. Sul versante delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, infatti, le misure predisposte appaiono davvero poco incisive, soprattutto se si considera il divario che separa l’Italia dagli altri maggiori paesi europei.

Ma è sul piano dell’equità che le carenze della manovra appaiono più evidenti, tenuto conto che gran parte dell’onere dell’aggiustamento ricade sulle spalle di quelle categorie di cittadini che già si trovano in una situazione di difficoltà o che risultano già penalizzate dall’elevata incidenza della tassazione. Ad esse vengono imposti altri sacrifici sul piano previdenziale e, nel pubblico impiego, anche sul piano contrattuale.

Siamo, inoltre, preoccupati anche del prossimo futuro perché, mentre da più parti si chiede una riforma fiscale che finalmente riduca le tasse ai lavoratori dipendenti, nella manovra si inseriscono norme che prevedono aumenti pressoché sicuri, sotto forma di tagli alle detrazioni d’imposta.

Pur comprendendo l’urgenza di raggiungere risultati di bilancio così quantitativamente rilevanti – quali sono quelli previsti dalla manovra – e, pur condividendo la necessità di contribuire ai sacrifici imposti dai tagli, i dirigenti, i quadri e professionisti del pubblico e del privato pretendono che questi sacrifici siano realmente ed equamente distribuiti.

Per farlo occorrono riforme per contrastare l’evasione fiscale, contenere i costi della politica, svincolare le istituzioni dagli interessi particolari, mettere un limite alle rendite parassitarie, aprire alla concorrenza il mercato del lavoro, ridistribuire equamente le risorse in gioco.

Varare queste riforme significa che tutte le parti sociali, le istituzioni, le imprese, le lobbies mettano da parte i propri interessi particolari e uniscano gli sforzi in nome dei valori della legalità, della meritocrazia, della trasparenza, dell’uguaglianza, dell’equità.