GR
Il decreto della buona scuola crea un’opportunità significativa per i presidi italiani. Ci vorrà tempo, e bisognerà che tutti si preparino all’esercizio dei nuovi compiti; ma noi dell’ANP crediamo che si inizi un percorso virtuoso che potrà avere ricadute positive sul funzionamento della scuola. Penso in particolare a due delle funzioni attribuite al dirigente: quella di scegliere più liberamente che in passato i docenti da utilizzare sull’organico dell’autonomia e quella di individuare gli insegnanti più meritevoli, cui riconoscere ogni anno un bonus in denaro, quale riconoscimento del loro contributo al buon andamento della scuola ed alla preparazione dei suoi studenti.
RA
Sono d’accordo. il decreto della “buona scuola” ha diversi punti deboli, ma il fatto di avere scelto i presidi come pivot del cambiamento mi sembra la cosa più positiva. Diverse ricerche all’estero dimostrano come le migliori scuole sono guidate dai migliori presidi.
GR
Dobbiamo però dar vita nei fatti ed in tempi brevi ad un nuovo modello di dirigente scolastico. Io ho trovato molto interessante la descrizione che lei ha dato nel suo saggio dei presidi “leader”: una descrizione che è del tutto in sintonia con la nostra idea di un dirigente in grado di presidiare la dimensione organizzativa di una struttura complessa ed insieme quella della motivazione e della guida di professionisti.
RA
Nel saggio racconto le storie e le esperienze di molti presidi italiani eccellenti. Per ragioni di spazio, ho dovuto limitarmi, ma so che in Italia ce ne sono moltissimi. Sono stati definiti “sceriffi” o “sindaci”: io li ho semplicemente definiti” leader”. Hanno una grande passione, sono pieni di iniziativa, dedicano molto tempo a creare il futuro dei ragazzi, soprattutto nel mondo del lavoro, e guidano i propri insegnanti grazie alla autorevolezza e alle proprie doti personali, sicuramente non grazie al potere. Un ex ministro della Pubblica istruzione, contrario all’idea di presidi leader, ha detto che non capisce come un insegnante possa essere il “capo” di insegnanti di matematica , italiano, geografia, ecc., perché non può sapere tante cose. Questo ministro non ha capito proprio nulla della didattica del 21mo secolo, che si deve preoccupare non solo di “cosa si insegna” ma di “come si insegna”.
GR
Lei parla spesso di orientamento al lavoro. Noi riteniamo che questa debba essere una delle priorità nella formazione, senza dimenticare che la scuola non si esaurisce nella sua dimensione “utile”, ma ha anche una missione generale di formazione della persona e del cittadino. Siamo del resto convinti che le competenze che sono oggi richieste sul lavoro sono anche, e forse prima di tutto, competenze relative alla persona: al “saper essere” oltre che al “saper fare”.
RA
Io vengo dal mondo del lavoro e nel saggio spiego cosa vogliono i datori di lavoro del 21° secolo e perché non sempre lo trovano nei neodiplomati e neolaureati italiani. Il mestiere è diventato meno importante delle competenze della “vita”: etica del lavoro, spirito critico/problem solving, capacità di comunicare e di lavorare con gli altri. La didattica di queste competenze rivoluziona completamente il modo di insegnare di questo secolo e per questo nel mio saggio ho ritenuto di compiere un breve viaggio fra le migliori esperienze presenti nel mondo e in Italia.
GR
Sappiamo bene quanto le “competenze della vita” siano essenziali per migliorare l’insegnamento. Si tratta di un’idea condivisa da molti dei nostri presidi. Sappiamo anche, però, che la tradizione della nostra scuola si basa principalmente sulla trasmissione delle discipline: i nostri insegnanti sono formati all’università quasi soltanto in vista di questa missione e non è facile rivoluzionare una prassi didattica vecchia di oltre 100 anni. Questa è del resto una delle priorità della formazione prevista per i dirigenti scolastici, che partirà nei prossimi mesi.
RA
Un preside difficilmente può essere un buon preside se non è stato un ottimo insegnante. Ma non basta. Deve essere anche capace di guidare i suoi insegnanti in questo percorso verso le competenze della vita e il lavoro. Roosevelt diceva che “un buon leader convince i propri colleghi e collaboratori a fare cose che loro ritengono impossibili e li aiuta a farle”.
GR
Abbiamo anche una grande responsabilità nel formare i 500 nuovi presidi che vengono assunti ogni anno. E’ un compito che ci siamo assunti, a partire dal 2007, quando per la prima volta si è verificato un consistente rinnovamento nella nostra professione. Ai nuovi dirigenti abbiamo cercato di trasmettere non tanto quel che già trovano sui manuali, ma il senso di una funzione civile, che deve aiutare a preparare il domani del paese.
Le difficoltà sono state e saranno molte, ma rimaniamo ottimisti. Sappiamo però che una sfida come questa richiede un grande supporto da parte delle famiglie e degli studenti italiani, che dovranno essere nostri partner in questo processo di cambiamento. Peraltro so che questo è anche il leit motiv del suo saggio.
RA
Nel mio saggio c’è un capitolo intitolato “le famiglie italiane, fabbriche di disoccupati”. Le famiglie italiane influenzano in modo estremamente negativo l’orientamento dei figli: non solo perché li mandano al liceo quando non ne hanno le capacità, ma anche, al contrario, quando precludono la carriera universitaria a giovani che potrebbero seguirla con successo, pur provenendo da famiglie relativamente modeste. Per questi genitori spesso le scuole sono tutte eguali e non capiscono che ce ne sono di buone e meno buone: ancor meno sanno capire quali sono le migliori e perché.
Molti di loro pensano che “prima viene lo studio e poi il lavoro “; invece, quel di cui si lamentano i datori di lavoro è che i neo diplomati e neolaureati italiani non sanno nulla del mondo del lavoro. Ancora: spesso assecondano i figli ad andare fuori corso per migliorare la media e prendere la lode, mentre i datori di lavoro preferiscono un laureato nei tempi giusti magari con voti non eccezionali. Ci sono anche quelli che negoziano continuamente voti migliori per i figli e, dato che trovano spesso insegnanti condiscendenti, i datori di lavoro non hanno più nessuna fiducia nei voti degli studenti.
Le famiglie italiane devono essere sensibilizzate alla scuola. Nelle società più avanzate dal punto di vista formativo, come la Finlandia e la Corea, la società intera si stringe attorno alle proprie scuole.
GR
Io credo moltissimo nell’alleanza tra scuole e famiglie: ritengo sia essenziale e penso anche che riuscire a costruirla sia proprio uno dei compiti della nuova leadership dei dirigenti scolastici. Nel suo saggio lei sostiene che la chiave sia nel costruire la necessaria trasparenza per le famiglie sulla qualità dell’insegnamento e credo che questo sarà cruciale. Insomma, i genitori dovranno essere aiutati ad uscire dal ruolo di “sindacalisti” dei loro figli, per assumere invece, insieme alla scuola, quello di responsabili delle scelte formative che li riguardano.
RA
Le famiglie italiane devono diventare dei veri e propri ” clienti ” della scuola. Ma per farlo devono capire come valutare la qualità dell’insegnamento. Oggi non sanno come farlo, anche perché la trasparenza è pessima, perché mancano standard obiettivi basati su INVALSI, Eduscopio ecc.
Basta guardare il sito della “scuola in chiaro” per rendersene conto. Credo che il preside del 21° secolo dovrà essere un campione della trasparenza.
Il programma di formazione che Anp si appresta a lanciare prevede molti moduli e uno sarà sicuramente quello dell’orientamento al lavoro che è il tema di fondo del saggio di Roger Abravanel. Sotto questo profilo, il testo potrebbe essere uno dei riferimenti concettuali più importanti.
Chi desiderasse procurarselo, può farlo in libreria o (con uno sconto) su Amazon.it. Sono allo studio altre possibilità di diffusione, in connessione con i seminari d’autunno. Ricordiamo che l’autore devolve da sempre in beneficenza i proventi dei suoi libri.
Chi volesse vedere un’anteprima dei contenuti del lavoro, può cliccare su questo link.